Uccidi i tuoi amici


Partiamo da un semplice concetto: il libro di John Niven non è un bel libro. Ha scritto libri migliori, “A volte ritorno” ne è un esempio. Certo, lo stile è sempre così meravigliosamente assurdo, schietto, rapido, sarcastico e dissacratorio, il tutto condito come al solito da una buone dose di alcol, droghe, sesso selvaggio, parolacce ed insensata violenza. In questo caso, non credo però possa esistere commento migliore  (ed adeguato al contesto) del fatto che Niven abbia completamente “fatto la cacca fuori dal vasetto”.

Steven Stelfox è un discografico della Londra del 1997. Seguire le sue “eroiche” gesta per un intero anno è partecipare ad MBA full time tenuto da Satana in persona.

Se fosse vero solo un 1% di quello che Niven ha scritto, il mondo della discografia sarebbe comunque un mondo orribile. Il sospetto è che la percentuale di verità contenuta nel testo sia superiore al 1%.

Non vi avventurate nella lettura di questo libro, a meno che non abbiate voglia di leggere un romanzo dove finalmente il male trionfi (e di brutto) o a meno che non abbiate voglia di conoscere uno dei personaggi letterari più orribili che mente umana possa aver mai generato.

Per farvi capire quanto sia odiabile questo personaggio non citerò le numerose nefandezze che commette in tutto il libro (vi posso assicurare che ne commette veramente tante), ma vi cito quello che secondo me è il reato più grande che abbia commesso, reato per cui anche un perbenista come me ripristinerebbe la pena di morte: aver proferito commenti negativi nei confronti dei Radiohead ed in particolare sul disco “Ok Computer”, un capolavoro uscito proprio quell’anno. Un disco così avanti che fu definito “il primo disco del nuovo millennio” … nel1997!!!!

“Infilo una mano e tiro fuori un cd promozionale. Lo sbircio nella penombra: Radiohead. Il nuovo singolo che deve uscire tra un mesetto e che ancora non ho ascoltato. Secondo Dunn tutte le radio li stanno mandando affanculo. Lo infilo nello stereo di Waters e un rumore tremendo riempie la stanza.”

… ed ancora:

“La traccia dei Radiohead, Paranoid Android, è degenerata in crescendo assordante e pretenzioso fino ad una coda sfinita con Thom Yorke che bela e gorgheggia le parole <rain down> a squarciagola. Che cazzo si credevano di fare con questa stronzata? Sono finiti. Chi se la beve ‘sta merda?”

La mia recensione si fermerebbe qui se nel mese di maggio non mi fossi trovato a Milano in fila per i provini di una nota trasmissione televisiva che si vanta di ricercare talenti musicali.

Ovviamente il provino non lo dovevo fare io (anche se vanto un passato di fallito  pessimo musicista), bensì la persona a me più cara. 

Ovviamente, nonostante speri con tutte le mie forze che questa persona possa esaudire i suoi desideri, sono qui a sperare anche che la famosa percentuale di cui ai capoversi precedenti sia molto, ma molto più bassa anzi, mi auguro che Niven si sia inventato tutto. Me lo auguro non solo per la persona a me cara, adulta e vaccinata, ma soprattutto per le centinaia di ragazzini che mi hanno circondato accompagnati dai loro amici, compagni e familiari.

Attorno a me c’era un’energia onirica con la quale si sarebbe potuto reinventare il mondo, eppure la sensazione percepita è che tale energia fosse incanalata per altri scopi. Diciamoci la verità, parlare di sensazione è un eufemismo, perché la dispersione di energia o il suo canalizzarla per altri scopi era possibile toccarla con certezza.

È bastata qualche telecamera, un drone, un giovane ragazzetto piacente ed equipaggiato di megafono che spari frasi ed ordini insensati ai più, ma non ai devoti del dio dello Spettacolo (alzate le mani, incrociate i polsi, o meglio ancora chiudete gli ombrelli che non piove, mentre sta piovendo!) ed ecco che anche il più metallaro o rocker del gruppo esegua quanto richiesto. 

Non potete capire l’imbarazzo nel sentire il succitato ragazzetto megafonato dire “mi scusi signore con l’ombrello rosso, si scansi che rovina le inquadrature” tradotto “Andrea levati dalle balle”

Novelle e novelli Janis Joplin, Patti Smith, Jim Morrison, Hendrix, Lennon, etc che dei loro predecessori non hanno altro che qualche indumento ed un centesimo del loro appeal, magari (anzi sicuramente) con una voce migliore, pronti a sacrificare la propria dignità al dio dello spettacolo per poter inseguire i loro sogni.

Chi scrive, sa perfettamente che questi ragazzi non hanno colpe, anzi li invita a sognare. Anche lui è stato sognatore e continua a sognare perdendo spesso la sua dignità.

Chi scrive, sa perfettamente che l’industria che c’è dietro tutto questo, la chiesa del dio dello Spettacolo, non ha colpe se non quella di divorare i sogni di molti per trasformarli nella realtà di pochi per il solo dovere di fare soldi…. e di certo non si può colpevolizzare l’imprenditoria il cui scopo è quello di guadagnare.

Chi scrive però, si pone una domanda e se la pone in chiave imprenditoriale: non esiste un modo più renumerativo per soddisfare il dio dello Spettacolo e allo stesso tempo dare più soddisfazioni ai nostri amici sognatori?

Se come diceva Morandi: “uno su mille ce la fa”, possibile che degli altri novecentonovantanove non debbano che rimanere solo le ceneri delle loro illusioni.

La musica è solo successo o può esistere una discografia degli insuccessi? 

Ricordo un recente Ministro della Cultura italiana che partorì quella che all’epoca io stesso definii una della più grandi “minchiate” della storia moderna, ovvero la “Biblioteca dei libri mai pubblicati”. Con il senno di poi e a valle di questa esperienza, mi sono chiesto se non possa esistere un luogo che generi valore da questo mondo sommerso. 

Capiamoci bene, una discoteca dei brani pubblicati e di quelli mai pubblicati, già esiste e si chiama SIAE. Sto parlando probabilmente di un “marketplace” reale e virtuale in cui tutti possano fare musica e godersi la musica, dove la domanda e l’offerta di musica siano convogliati ed obbligati ad incontrarsi per generare valore.

Se questo Dio dello spettacolo anziché nutrirsi di un solo “campione” e del “torneo” che ne ha sancito la vittoria attraverso le sue epiche “battles”, si nutrisse degli altri novecentonovantanove, non soddisferebbe di più la sua brama di soldi?

Non ho gli strumenti per poter fare questa analisi. Probabilmente questa analisi è già stata fatta ed i talent show di cui siamo circondati ne sono la conseguenza. Probabilmente qualcosa di simile a quello che ho supposto già esiste.

Mi piace comunque immaginare un mondo in cui profitto e benessere dei nostri giovani possano coesistere, un mondo in cui i ragazzi siano incentivati a suonare e a sentirsi delle rock star ma allo stesso tempo siano accompagnati nel mondo degli adulti e del lavoro, trasformando un loro sogno/ossessione in un bellissimo hobby “semi-professionale” che li possa aiutare nel grigiore della quotidianità della vita adulta.

Come vi accennavo prima, sono uno che “continua a sognare perdendo spesso la sua dignità”. Pertanto se quanto ho espresso in questo articolo lo considererete “una della più grandi “minchiate” della storia moderna”, vorrà dire che avrò alte probabilità di essere il prossimo Ministro della Cultura.

“Uccidi i tuoi amici” – John Niven – Einaudi – pag. 340

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