Sono nato nel settembre del 1974. Il mese prima, la mattina del 6 agosto del 1974, il funambolo Philippe Petit camminò su una fune di circa 3 centimetri tesa tra le due torri gemelle di New York, sospeso ad un’altezza di 417,5 metri.
Il suo gesto è sempre stato per me fonte di ispirazione.
Spesso immagino come debba essere stato assistere quel giorno a quella passeggiata. Mi ritrovo così tra la folla, su quel marciapiede, con la testa rivolta verso l’alto, il collo teso, i miei occhi fissi su quel puntino e su quella barra. Accanto a me decine di persone protese nella stessa azione, colme di meraviglia, chi indica con la mano. Attorno i rumori e gli odori di una mattina newyorkese, immersa nella monotona quotidianità di quota zero.
A volte invece mi ritrovo nel corpo del gabbiano che quella mattina volteggiò attorno a Petite. La prospettiva è vertiginosa, le sensazioni diverse: “Che razza di volatile sei, sgraziata creatura con due ali così rinsecchite che osa invadere il mio spazio?”
Penso spesso a Philippe Petit.
Ci penso quando debba prendere una decisione che modificherà il mio equilibrio o quando questa scelta venga fatta da persone a me vicine.
Nel nostro piccolo, tutti noi a volte siamo dei funamboli sospesi tra due torri.
A volte siamo spettatori meravigliati del coraggio altrui o gabbiani indispettiti dalla decisione dell’altro; a volte siamo entrambi.
Una persona a me cara mi ha reso recentemente partecipe di una sua scelta. Ha deciso di vestire i panni di Philippe Petit (nel suo caso sarebbe più corretto parlare di “superamento delle colonne d’Ercole”).
L’ho osservato “umano meravigliato” dal basso, sul marciapiede piatto come l’encefalogramma del mio attuale coraggio e l’ho osservato “gabbiano indispettito” dall’alto del mio spazio quotidiano che verrà modificato da quella sua passeggiata.
Grazie a questa persona ho ripensato alle immagini di Philippe Petit, quel lontano 6 agosto. Quello che mi attira veramente di quelle immagini, non è l’equilibrio che trasuda da quella scena bensì la ricerca di instabilità che l’ha generato.
Lunga vita all’instabilità, viva le scelte coraggiose o come scrisse Primo Levi:
“Meglio l’impurità che dà adito ai mutamenti. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze e le impurezze delle impurezze.”
Ad maiora, “mon Petit ami”.