Il mio anno di riposo e oblio


Capita sempre più raramente di trovare romanzi che sappiano sorprendere e ancor più raro è che questo stupore nasca da una nuova interpretazione di modelli di cui la letteratura abbia già abbondantemente abusato.

Quanti romanzi ad esempio sono ambientati a New York? Migliaia di pagine colme di descrizioni minuziose, luccicanti e trasognanti, talmente dettagliate che un assiduo lettore potrebbe serenamente affermare di aver visitato la “Grande Mela”, senza mai esserci stato. Ma in quanti l’hanno raccontata dal buio di una stanza da dove poter vedere …

“… l’estate morire e l’autunno diventare freddo e grigio da una stecca rotta nella veneziana”, …

… o descritta attraverso inconsapevoli vagabondaggi in fase di trance indotto da psicofarmaci?

anno-riposoE di quanti personaggi femminili sono state raccontate le gesta in questi secoli? Forti, deboli, eroine, vittime, determinate e fragili. Ma quanti hanno scritto di una donna fragilmente determinata ad annientare le proprie debolezze attraverso l’auto-nichilismo con l’obiettivo non di suicidarsi, ma di rinascere?

“Sapevo in fondo al cuore che se fossi riuscita a dormire abbastanza sarei stata bene. Mi sarei sentita rinata, nuova. Avrei potuto diventare un’altra persona, ogni cellula rigenerata tante volte così che quelle vecchie sarebbero state solo memorie sfocate, distanti. La mia vita passata sarebbe stata solo un sogno, e avrei potuto ricominciare senza rimpianti, rafforzata dalla beatitudine e dalla serenità accumulata nel mio anno di riposo e oblio.”

Fugge la nostra protagonista non da quello che la circonda, ma da ciò in cui, quello che la circonda, l’ha trasformata. 

Una società basata sull’apparenza, sui giudizi e pregiudizi, in cui essere carina …

“… mi teneva intrappolata in un mondo che dava importanza all’aspetto prima di ogni altra cosa.”

ed ancora: 

“Pensa alla tua bellezza come a un tallone di Achille. È troppo in superficie. Non devi prenderla come un’offesa, ma è la verità. È difficile guardare oltre il tuo aspetto.”

Una famiglia disgregata, amori fatti per soddisfare il solo senso di possedere qualcosa ed amicizie basate sull’invidia, come Reva che:

“Mi venerava e mi odiava. Vedeva la mia lotta con l’infelicità come una crudele parodia delle sue stesse sfortune. Io avevo scelto la mia solitudine e l’apatia, mentre Reva, nonostante ce la mettesse tutta, semplicemente non era riuscita a realizzare i suoi sogni.”

Quello che veramente colpisce di questo romanzo è l’ironia e la comicità con cui la Moshfegh racconta il programma di “ibernazione” della protagonista. Mentre un qualsiasi autore giapponese ci avrebbe ammorbato con inutili sentenze sul senso della vita e su ciò che conta veramente nella vita, la Moshfegh ci insegna a essere se stessi convivendo con una realtà esterna che per molti aspetti può non appartenerci e a riscoprire la bellezza anche nell’orrore più assoluto.

Geniali i dialoghi con la dottoressa Tuttle, la sua psichiatra “per caso”, come geniali le preoccupazioni della protagonista per i fallimenti del suo programma di ibernazione e le  sue “inconsce” scappatelle. Finale da brividi.

Nonostante tutto ruoti attorno al “CTRL+ALT+CANC” della propria esistenza, ci troviamo di fronte ad uno degli inni alla vita più belli degli ultimi anni.

Leggetelo.

“Il mio anno di riposo e oblio” – Ottessa Moshfegh – Feltrinelli – pag. 231


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